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DAM, PIM What?

Il nostro punto di vista sulla gestione e l’organizzazione dei contenuti di brand e di prodotto. Visione, percorso e qualche esperienza maturata sul campo.
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  • DAM e PIM

La gestione e l’organizzazione dei contenuti di brand e prodotto sono temi sempre più presenti nell’agenda tecnologica delle organizzazioni. L’adozione di soluzioni DAM (Digital Asset Management) e PIM (Product Information Management) aumenta in misura proporzionale all’aumento dei canali di promozione e vendita digitali. Ma qual è il perimetro che si cela dietro a questi acronimi? Una risposta universale non esiste, proviamo a darvi la nostra.

Ci occupiamo di contenuti da oltre ventisei anni. Della loro organizzazione, classificazione e distribuzione. La Suite Chalco BrandLife poggia le sue fondamenta proprio su un potente motore di Digital Asset e Product Information Management. Con questo articolo raccontiamo come siamo arrivati a occuparci di contenuti e quindi come la nostra storia abbia fortemente condizionato anche il percorso evolutivo della Suite Chalco BrandLife.

Partiamo da una precisazione importante: cosa intendiamo per contenuto di prodotto. Potrà sembrare banale ma un mancato accordo iniziale sul perimetro e sull’accezione che attribuiamo al concetto di contenuto potrebbe condurre a malintesi o incomprensioni – ci è già successo.

Una definizione di contenuto

Per contenuto di prodotto intendiamo qualsiasi tipo di asset[1], informazione o dato creato, archiviato o distribuito in formato digitale e relazionato a una struttura anagrafica di prodotto/collezione. In questi termini il significato di contenuto assume un perimetro molto ampio: oltre a immagini, video, 2D, 3D, può comprende anche informazioni di filiera, tecniche, commerciali, descrizioni, traduzioni, link di relazione (e potremmo proseguire).

Se è vero che in questa accezione aumenta molto il perimetro di quello che definiamo contenuto, negli anni ci siamo chiesti anche quanto questo ne aumentasse di conseguenza il valore. Adottando un punto di vista più sistemico al tema, ci siamo accorti che la somma di tutti quei contenuti portava in effetti a un risultato di grandissimo valore. Una corretta correlazione di quei contenuti portava infatti al consolidamento di quello che nel 2015 abbiamo definito Identità Digitale di Prodotto, quindi di fatto la migliore e più completa rappresentazione digitale del prodotto fisico. Centralizzare il governo dell’Identità Digitale di Prodotto garantisce infatti alle organizzazioni una più corretta ed efficiente distribuzione del prodotto verso la moltitudine di canali promozionali e di vendita oggi fondamentali per il sostentamento e la crescita del business.

E se questo era vero per il prodotto, salendo di un ulteriore livello, ci siamo interrogati anche sul valore che il consolidamento dell’Identità Digitale di Prodotto assumeva nel tentativo di circoscrivere il perimetro identitario di brand arrivando a quello che di recente abbiamo definito Brand Digital DNA. Di Brand Digital DNA e di Identità Digitale di Prodotto parleremo ampiamente nei nostri prossimi articoli. Vedremo anche il ruolo che questi due concetti giocano rispetto all’utilizzo dell’AI per la generazione dei contenuti di brand e di prodotto – ma andiamo per ordine e torniamo per ora alle origini.

Le origini

Quando abbiamo iniziato, nel 1998, la sfida era supportare editori e agenzie di comunicazione e ADV nella gestione del ciclo di vita delle immagini e degli impaginati attraverso un approccio e uno strumento innovativi per l’epoca.

L’acronimo DAM non era diffuso ma cominciava a diffondersi la necessità di fare ordine tra la moltitudine di contenuti che entrambi gestivano come elemento core della loro attività: gli editori per la costruzione del libro o del magazine, le agenzie per rispondere alla crescente richiesta da parte delle aziende di contenuti sempre più specifici per un numero di canali destinato ad aumentare esponenzialmente.

Era l’epoca dei primi siti e-commerce e presto della consapevolezza che il web sarebbe stato sempre più un canale di comunicazione e di branding, non solo strumento di servizio, di presentazione o di mera condivisione di informazioni “iper-correlate”.

La direzione ci è sembrata chiara quasi da subito: il governo dei contenuti non sarebbe rimasto a lungo esclusivo appannaggio di editori e agenzie. I brand – complice l’esplosione delle piattaforme di social media – sarebbero presto diventati editori di loro stessi. Progettare, produrre e distribuire il prodotto fisico presto non sarebbe più stato sufficiente. I contenuti necessari alla presentazione e commercializzazione del prodotto attraverso le nuove piattaforme digitali sarebbero da lì a poco diventati argomento e voce di budget centrali per la crescita di ogni organizzazione.

Covid ha sicuramente accelerato questa consapevolezza ma il tema ormai era chiaro: NO CONTENT NO BUSINESS. È vero in ambito B2C ma anche nel B2B. Non esiste campagna vendite o processo di vendita B2B che non contempli oggi l’utilizzo massivo di strumenti digitali di presentazione del prodotto.

Due lezioni

Compreso il ruolo che i contenuti avrebbero avuto nella vita dei brand e quindi l’importanza anche per questi di dotarsi di tecnologie DAM, sentivamo che ci stavamo perdendo ancora qualche pezzo per strada. La nostra esperienza affondava le radici in due ambiti per molti versi tangenti, per altri molto distanti: l’editoria e il marketing. È proprio in quelle esperienze che abbiamo trovato i primi due pezzi che ci mancavano per aiutare davvero i brand che si affacciavano in quel momento a un mondo che stava cambiando radicalmente.

Dalle agenzie e quindi dal marketing abbiamo imparato che non esiste comunicazione, non esiste successo promozionale o commerciale senza un prodotto forte al centro. Le migliori campagne di comunicazione partivano sempre da lì, mettevano il prodotto al centro e costruivano attorno alle sue caratteristiche. Fisiche, di performance, estetiche, aspirazionali, valoriali ma il protagonista era lui, il prodotto.

Prima lezione, primo pezzo: non potevamo aiutare le aziende a gestire i loro contenuti senza preoccuparci di relazionare quei contenuti con il prodotto che rappresentavano. È da questa riflessione che nasce il primo motore PIM di Chalco integrato alla matrice originaria DAM del sistema. Un’unica piattaforma quindi con entrambe le funzionalità di digital asset e product information management. Il valore degli asset a questo punto raddoppiava: la stessa immagine di prodotto valeva molto di più se “consapevole” di rappresentare quello specifico prodotto o insieme di prodotti. La stessa capacità del sistema di ricercare contenuti al suo interno aumentava esponenzialmente con l’introduzione della meta-datazione dei contenuti stessi.

Dalla lunga – e tuttora vivace – esperienza con gli editori abbiamo imparato invece che i contenuti non cadono dagli alberi. Il libro non si costruisce da solo. La costruzione del libro o del magazine sono frutto di un processo complesso che coinvolge persone, risorse, atomi di contenuto diversi che vanno amalgamati e correlati per generare un risultato che vale molto più della somma algebrica delle parti che lo compongono. Quel processo magico di costruzione si chiama processo editoriale.

Seconda lezione, secondo pezzo recuperato: se veramente volevamo occuparci di contenuti e supportare le aziende che quei contenuti dovevano produrre, dovevamo anche preoccuparci del processo necessario alla creazione di quel contenuto. Da qui la decisione di introdurre all’interno di Chalco anche un terzo elemento. Un motore di workflow management in grado di gestire le diverse fasi e i diversi elementi che caratterizzano i progetti di creazione del contenuto: guidelines tecniche e creative, allocazione dei task a risorse diverse siano esse persone, team o macchine, la definizione di milestone e deadline di progetto, budget, processi di approvazione, revisione, adattamento, distribuzione e monitoraggio in real-time della produzione.

Chalco BrandLife Suite oggi

Oggi Chalco BrandLife, con le sue oltre quattrocento installazioni attive in diversi ambiti che spaziano dal Fashion al Retail, è una Suite completa di soluzioni per la produzione, la fruizione e la distribuzione dei contenuti di brand e di prodotto.

Quindi come possiamo definirci? DAM, PIM, What?

Certo, Chalco si fonda su un potente motore DAM e PIM e qualcuno lo definirebbe un sistema PCM (Product Content Management) ma abbiamo ormai compreso che gli acronimi sono utili solo a delimitare un macro-perimetro poiché, anche all’interno del medesimo contesto di soluzione e del medesimo acronimo, le soluzioni presenti sul mercato possono essere molto diverse tra loro. I casi d’uso di un sistema DAM e PIM, infatti, possono variare molto da un’azienda all’altra, al punto da non escludere che sempre più spesso le organizzazioni si troveranno nella necessità di integrare soluzioni DAM e PIM diverse in funzione delle specializzazioni e dei contesti operativi.

 

[1] Asset Digitale: Un “asset digitale”, un “file” e “contenuto” sono concetti correlati ma non esattamente sinonimi. Un asset digitale è un concetto più ampio rispetto a un file. Si riferisce non solo al file stesso ma anche a un insieme di file, tutti i metadati e informazioni aggiuntive che rendono quel file utile e utilizzabile all’interno di un sistema o per uno scopo specifico.

Ascolta qui l’articolo.

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