L’identità digitale di un prodotto potrebbe essere definita come un insieme di attributi distintivi che afferiscono a un manufatto fisico. Una declinazione del cosiddetto gemello digitale (digital twin) poiché quest’ultimo identifica applicazioni industriali differenti.
La qualità principale dell’identità digitale è di poter essere interrogata ed elaborata da un sistema informatico. L’intero processo permette quindi di creare una solida e perpetua relazione tra il mondo fisico e quello digitale. Ad esempio nella logistica un codice univoco digitale correlato a un prodotto può permettere il tracciamento costante di quest’ultimo. Si pensi alle tecnologie RFID o l’impiego di machine learning e computer vision nei supermercati Amazon Go.
Ma questa è una prassi concettualmente già ampiamente diffusa a partire dall’era analogica; oggi si domanda non solo un incremento delle informazioni e dati da gestire ma anche condivisione in tempo reale fra reparti aziendali (a volte in paesi diversi) che si occupano di attività completamente diverse.
A partire dal 2017 realtà come IBM e Honeywell hanno iniziato a favorire la diffusione di soluzioni industriali “digital twin”, ovvero modelli virtuali progettati per riflettere accuratamente un oggetto fisico. Big Blue spiega che i dati raccolti dai sensori di una turbina eolica possono essere trasmessi a un sistema di elaborazione e applicati alla copia digitale. “Una volta informato con tali dati, il modello virtuale può essere utilizzato per eseguire simulazioni, studiare problemi di prestazioni e generare possibili miglioramenti, il tutto con l’obiettivo di generare informazioni preziose, che possono quindi essere applicate all’oggetto fisico originale”, sottolinea IBM.
Ecco spiegato il motivo per cui il concetto di “gemello digitale” rappresenta qualcosa di diverso rispetto all’identità digitale di prodotto suggerita da Hyphen. Nel primo caso si tratta di un modello matematico che in base ai dati ricevuti simula effetti e prevede conseguenze. “Nel secondo caso è una sorta di Spid del prodotto“, spiega Stefano Righetti, CEO di Hyphen. “Un passaporto che include ogni tipo di caratteristica e generalità del bene oltre ai relativi contenuti. E, come nell’editoria, vi è una netta separazione tra il contenuto e il contenitore per favorire la circolazione delle informazioni”.
Stabilito un protocollo, identificabile a prescindere dal canale, non resta che definire nodi e sottonodi che lo compongono: nello specifico testi, link, foto, video, etc. “È come immaginare un libro fatto di copertine, indice, capitoli e ogni elemento funzionale all’organizzazione dei contenuti distintivi“, sottolinea Righetti. Il suggerimento è di avere comunque un approccio open al tema poiché in futuro potrebbero concretizzarsi veri e propri standard di formato.
In sintesi l’identità digitale di prodotto è una sorta di attributo informativo/informatico che include tutte le caratteristiche descrittive e di categoria di un manufatto fisico. Ovviamente è possibile l’interrogazione di questo elemento e la conseguente gestione in quadri prestabiliti, con l’obiettivo di incrementare le prestazioni aziendali riducendo le inefficienze e soprattutto le ridondanze.
La condizione necessaria per il consolidamento dell’identità digitale è l’adesione perfetta della Product Supply Chain alla Digital Supply Chain. I vicendevoli collegamenti tra le due catene di approvvigionamento ovviamente possono avvenire in fase diverse dei processi, ma la sostanza è che non è contemplato lo scollamento tra fisico e digitale.
La dimensione del tempo
Il torinese Giuseppe Luigi Lagrangia (Lagrange) nel 1788 scrisse nella sua opera Mécanique analytique che la meccanica opera in uno spazio fatto di quattro dimensioni: tre spaziali e una temporale. L’identità digitale quindi potrebbe essere definita 4D poiché non solo registra ogni elemento della fisicità di un prodotto ma anche i suoi stati nel tempo.
La componente temporale di fatto accompagna così il manufatto. Ideazione, prototipazione, campionatura, inserimento in collezione e archivio storico diventano elementi correlati al percorso di evoluzione di un prodotto. E pur mantenendo un codice unico (e distintivo) questo può richiamare ogni transizione, variazione e anche allegato fotografico o multimediale.
“Bisogna immaginare un reticolo di informazione che struttura i dati in maniera semplice e che è gestibile indipendentemente dall’applicazione che l’ha generato”, spiega Righetti. “Se ho i diritti di accesso potrei risalire al numero dei colori, le taglie, i tessuti e ogni altro dettaglio. Oggi il codice prodotto di un capo di abbigliamento indica veramente pochi dati”.
La fabbrica di contenuti
Una qualsiasi industria manifatturiera è anche un produttore di contenuti. Ogni informazione relativa a un bene è presente in almeno un database costantemente interrogato da ogni reparto. Il tema centrale è che a prescindere dagli scopi (e-commerce, marketing, newsletter, etc.) si domanda al “passaporto digitale” di includere informazioni complete e aggiornate, nonché di essere facilmente accessibile. Cambia il richiedente oppure il canale ma i metadati sono sempre gli stessi. Non ha senso che più reparti realizzino confezioni diverse per gli stessi dati, quando l’intera operazione può essere customizzabile a monte.
Ecco spiegato il motivo per cui la soluzione Chalco di Hyphen si occupa di organizzare asset multimediali, documenti, schede di caratteristiche, modelli 3D e altri dettagli relativi a un prodotto per poi renderli interrogabili dai reparti marketing, vendite, e-commerce e via API (application programming interface) a ogni altra eventuale piattaforma o applicazione. In sintesi è una tecnologia capace di gestire il Digital Asset Management e il Product Information Management con un approccio olistico.
La centralità dell’immagine
“L’immagine di un prodotto spesso ha più valore dello stesso prodotto”, ricorda Righetti. “A volte basta uno scatto per far innamorare di un oggetto. Evidente quindi l’importanza di una corretta ed efficiente gestione di tutto il materiale digitale di corredo a un prodotto. Anche perché il 90% delle transazioni offline ormai si basa comunque su una precedente consultazione online”.
“Si potrebbe supporre che questa sensibilità rivolta nei confronti dell’immagine sia tipicamente consumer, ma non è affatto vero. Basta pensare ai viewer 360° interattivi che soddisfano l’esigenza di informazione puntuale degli interlocutori tecnici, come ad esempio i buyer”.
L’identità digitale diventa così ancora più strategica poiché è l’unico strumento per governare tutti i contenuti informativi e di immagine a disposizione. “Bisogna ragionare con un approccio di sistema: più che guardare a una singola fase, riconoscere l’organicità”, conclude Righetti.