È di pochi giorni fa un interessante articolo dal titolo La moda che ritorna di Chiara del Prete pubblicato su Fashion Research Italy.
Di cosa parlava? Tendenzialmente del fatto che moltissimi brand del settore fashion stanno attingendo ai loro archivi storici per creare capi e collezioni con richiami ai loro elementi fondanti, e li stanno elaborando e interpretando in chiave contemporanea. Tra questi brand troviamo Gucci, Dior, Prada, Marni, Alaia, Birkenstock e molti altri.
Un vero movimento di riscoperta dei valori, dell’identità visiva, delle radici da cui hanno preso origine alcuni dei nomi più celebri delle passerelle internazionali.
Cosa ci incuriosisce di questa tendenza?
I tempi. Ovvero il fatto che questa riscoperta si stia manifestando nel periodo di maggiore incertezza economica e sociale post seconda guerra mondiale, dopo un lockdown che è durato mesi in buona parte degli stati del mondo, che ha messo a rischio un intero sistema sociale e che ancora lascia strascichi sotto la costante minaccia di focolai e conseguenti chiusure.
In questo contesto, con analisti impegnati a prevedere i cali in termini di fatturato e utili, il panorama creativo ha scelto di guardare il passato e riscoprire le radici. E questa tendenza riguarda non solo brand storicamente forti nell’heritage come Bulgari, Gucci e Dior, ma anche marchi che hanno sempre fatto della modernità la chiave del loro sviluppo.
È la ricerca artistica della propria essenza, un porto sicuro, un luogo di riparo. È il nido di Pascoli, la casa confortevole, quella dove c’era il letto di quando eravamo piccoli, con mamma e papà a controllare i fantasmi negli armadi. Ed è la spinta dell’essere umano ad andare sempre avanti, oltre qualsiasi avversità, contro ogni asperità.
L’uomo avanza sempre, diceva Steinbeck in Furore.
La moda ha la tendenza ciclica, è vero. È celebre il motto secondo cui le mode ritornano, eppure la scelta di aprire ora gli archivi, come facciamo nei momenti di malinconia con la scatola dei ricordi, è una delle scelte umane che più ci emozionano.
Negli anni ’90 avevamo il cassetto con le fotografie e bastava aprirlo. Ora abbiamo dispositivi diversi, tecnologie in cloud, archivi su SSD, server aziendali, software dedicati (a casa sono sicuro che avete ancora qualche floppy da 1,4MB, un paio di ere tecnologiche fa).
Il nostro lavoro è focalizzato ogni giorno a trattare l’archiviazione di dati
È una soddisfazione sapere che nei momenti di fragilità proprio gli archivi, al di là della tecnologia su cui poggiano, sono la cosa più utile per trasformare i valori in appigli, e i principi fondanti in visioni future. È il vecchio che torna nuovo, l’io profondo che torna a proteggere la superficie.
Parte della nostra attività si concentra nella creazione di software per l’archiviazione di dati come PIM, PCM e DAM, ma non è il contenitore il punto di forza. È il contenuto, il modo in cui lo creiamo e ne usufruiamo, a fare la differenza.
Fonti:
https://www.fashionresearchitaly.org/fashion-journal/archivi-moda/retrovolution/
John Steinbeck, Furore
Giovanni Pascoli, Myricae